Parlare semplice è più difficile che parlare complicato.
Come scrisse Voltaire: “Scusa caro amico, se ti scrivo una lunga lettera, ma non ho avuto tempo di scriverne una breve”.
Esiste un problema, che vedo ben radicato a Forlì, che accomuna molti settori (i musei, le mostre, un certo teatro, la musica colta, la danza, la rilettura dell’architettura) e che potrebbe essere sintetizzato nella “fobia della divulgazione”. Se sei semplice nel parlare, sei “di meno”.
In questa città, dove ci sono decine di iniziative di “alto livello”, ma ahimè molto (molto) chiuse fra tecnici e riservate a un certo mondo di pari, la divulgazione è guardata con sospetto da chi detiene i “saperi scientifici” e la competenza di settore, perché dietro a ogni tentativo di divulgare si viene accusati di banalizzare i contenuti e di spettacolarizzare della conoscenza.
Il risultato per Forlì (ma in generale in Italia oserei dire…) è che, proprio perché non esiste una legittimazione e una pratica della divulgazione, la comunicazione culturale si va polarizzando agli estremi: da una parte, la comunicazione iper-tecnica e autoreferenziale degli addetti ai lavori indirizzata a un pubblico “di pari” (il catalogo del museo illeggibile, il programma di sala, le performance ai più incomprensibili) e dall’altra, la mediazione dei contenuti costruita solo per aver una presa facile e superficiale sul pubblico.
La linea di mandato più chiara che vorrei trasmettere, è quella di trovare, con l’aiuto di tutti, il modo di affrontare alcune sfide centrali per il sistema della cultura:
migliorare la qualità della relazione con i diversi pubblici, far conoscere meglio e a più persone il territorio di riferimento con tutto il suo patrimonio architettonico e culturale (qui non abbiamo dato i natali solo all’ultimo dittatore ma a tanti pensatori liberi, poeti, artisti, che hanno contribuito alla nostra storia), rinnovare i linguaggi, la comunicazione, per tornare (o iniziare) a comprendere i bisogni delle persone, far crescere competenze di scelta e di formazione del gusto.
Ecco il mio obiettivo principale, “non definire il gusto, ma aiutare tutti a trovare il proprio”, in modo semplice e “alla mano”, e allo stesso tempo essere rigorosi e mai banali nello spiegare il “rapporto fra sè e il mondo”, cioè la cultura!
Eppure noi di grandi esempi di successo ne abbiamo sempre avuti, senza andare troppo indietro fino ai Greci e ai Romani pensate che Shakespeare faceva teatro per le donne e gli uomini del popolo, allevatori, agricoltori, non era una proposta per un élite culturale, ed era adatta a tutti.
Ma anche ai nostri giorni, sono sicuro che anche voi come me, avete odiato i promessi sposi o la divina commedia quando ce la facevano studiare da ragazzi, invece oggi c’è Benigni che la racconta in un modo che riempie le piazze, Ezio Bosso tiene incollate al televisore più di un milione di persone parlando di Beethoven, la prima della scala “Tosca” trasmessa in tv, ha battuto un nuovo record di telespettatori!
Penso veramente che abbia già perso in partenza chiunque pensi che la cultura sia una roba da fare in giacca e cravatta riservata a pochi eletti, questo non va bene!
Io mi impegnerò in questi 5 anni per non ci siano proposte banali e allo stesso tempo ci siano proposte comprensibili, accettabili, vivibili da tutti.