Ogni giorno chi passeggia lungo Corso della Repubblica si trova a superare il portone di Palazzo Merenda forse senza sapere che contiene oltre cento anni di storia romagnola.
Perché ospita, oltre alla biblioteca cittadina, oltre alle tele del Cagnacci, Palmezzano e Guercino, oltre all’armeria, anche il Museo Etnografico. L’anno prossimo si potrebbe celebrare il centenario della prima mostra allestita nel 1921. Il condizionale è d’obbligo perché la raccolta è chiusa al pubblico. Ormai da dieci anni, dall’inverno del nevone.
Cosa significa questa chiusura per il nostro territorio? Di certo la perdita di un legame forte con la tradizione e il suo sapere antico. Di perdere quel nodo che ha legato le generazioni più giovani a quelle più anziane.
Ma perché è chiuso? Perché il Palazzo del Merenda, uno dei tre musei più antichi d’Italia, sta cadendo a pezzi. Oggi è un cantiere. Stanno rinforzandone i solai, piegati dal peso dei secoli di storia accumulata. Dobbiamo svuotarlo se vogliamo aggiustarlo. Il Museo Etnografico, le sue raccolte, giacciono sotto i teli stesi che proteggono dalla polvere. L’ambiente che ricostruisce l’osteria, con i tavoli lunghi e stretti, e le panche dove sedevano le scolaresche elementari in visita, è silenzioso e vuoto.
Anche gli antichi strumenti di artigianato, che raccontano di un passato lavorativo tanto diverso da quello attuale così rapido e competitivo, sono abbandonati. Conservati, certo, custoditi, ma senza che nessuno possa ammirarli. Priva di visitatori la Sala Maceo espone inutilmente le antiche botteghe: del fabbro, dei maestri liutai, del ciabattino e del cappellaio.
Una raccolta etnografica che è stata visitata anche dal sindaco del comune di Predappio, Roberto Canali, accompagnato dal proprio vicesindaco e assessore alla Cultura, Luca Lambruschi. Nello spazio che espone i dipinti delle Rocche di Romagna hanno visto i territori limitrofi riuniti sotto una grande storia comune.
Una storia comune che ben si vede anche nel dipinto conservato del Palmezzano, conservato al piano sottostante: nel 1534 dipinge il Battista reggente un coccio di ceramica, dettaglio di non poca importanza in quanto ci dice che già allora, in queste terre, erano presenti botteghe di ceramisti.
E’ facile intuire, allora, che Palazzo del Merenda rappresenta un unicum che il centro città può offrire ai suoi cittadini. E ai turisti: una chance per attrarne di nuovi.
E’ un peccato che sia ancora in fase di manutenzione e restauro, e con tanto lavoro da fare, privandoci di una parte di storia nella quale ognuno potrebbe riconoscersi, o perlomeno ritrovare le proprie radici.
Svuotiamolo, aggiustiamolo. E dopo averlo svuotato e aggiustato, riapriamolo per ridare il grande patrimonio che contiene, alla città.